fbpx

Un vino dal successo internazionale che nasce affacciandosi sul mare dai terrazzamenti creati sui fianchi del vulcano

L’Etna, come abbiamo potuto vedere nell’articolo sul suo Parco Naturale, non è solo lava e cenere ma anche una grande fonte di vita. Dai grandi deserti lavici sommitali si passa a zone dove la natura domina incontrastata. Nella Zona B, che dai 1880 metri scende fino i 640 metri sopra il livello del mare, si è sviluppata l’agricoltura, con terrazzamenti creati sui fianchi del vulcano che ospitano anche importanti vigneti. Il principe dei vitigni sull’Etna è quello del Nerello Mascalese o, in siciliano, “Niuriddu Mascalisi”.

Il nome “mascalese” deriva dalla zona d’origine, quella della Piana di Mascali, che si trova sul versante orientale dell’Etna, tra il mare e il vulcano, mentre “nerello” è dovuto al colore scuro e intenso delle sue uve. Oggi la coltivazione di Nerello Mascalese è presente in tutta la zona limitrofa, anche se il suo territorio di eccellenza è quello che si trova tra i comuni di Castiglione di Sicilia e di Randazzo. Sul vulcano nasce la versione più prestigiosa del vino, quella sotto la denominazione Etna DOC.

Non è semplice risalire alle origini del Nerello Mascalese: le prime apparizioni di questo vitigno autoctono risalgono al tempo degli antichi greci, inizialmente in Calabria e poi, intorno al 700 a.C., nella zona di Catania. I greci legavano la sua coltivazione all’adorazione del dio del vino, Dionisio. In epoca romana, invece, arriva la sua piena diffusione alle pendici del vulcano, nella Piana di Mascali che gli darà il nome. Nel corso dei secoli, anche dopo la caduta dell’Impero Romano e il susseguirsi di dominazioni, la produzione non si è mai arrestata. I vitigni eroici (ovvero quelli coltivati in zone impervie per clima, terreni, pendenze o quote estreme) del Nerello Mascalese coltivato sull’Etna hanno resistito anche all’epidemia della filossera della fine del 1800 (l’insetto aveva distrutto, nel 1895 ben 96.246 ettari di terreno in tutta la Sicilia). Ma è solo nel XX secolo che si sono ottenuti importanti risultati, valorizzando la qualità del vitigno autoctono che, nel nuovo millennio, è diventato tra i più apprezzati a livello nazionale e internazionale.

Il Nerello Mascalese è oggi impiegato sia per la vinificazione monovarietale che in blend con altri uvaggi. Dal 1968 è diventato la base per la denominazione DOC dell’Etna Rosso, di cui rappresenta l’80% (il rimanente 20% è dato dai vitigni di Nerello Cappuccio). Il vitigno viene coltivato anche nella punta estrema della provincia di Messina, a Faro, oltre che a Sambuca di Sicilia, Marsala, Alcamo e nella Contea di Sclafani: non a caso è il secondo vitigno più coltivato in Sicilia dopo il Nero d’Avola. Il Nerello Mascalese è quindi presente in misura inferiore nelle DOC di Faro (dove deve essere presente tra il 45 e il 60% insieme al Nerello Cappuccio, tra il 15 e il 30%, e il Nocera, tra il 5 e il 10%), Alcamo, Contea Sclafani, Marsala e Sambuca di Sicilia.

Il Nerello Mascalese coltivato sull’Etna ha caratteristiche uniche per la conformazione del suolo: i terreni vulcanici hanno infatti una tessitura basaltica e una presenza di argille allofane che producono una buona conduzione termica. Il vitigno è stato reso forte e resistente dall’elevata altitudine, visto che viene coltivato fino ai 1100 metri di altezza sul livello del mare, e per la pratica di allevamento per propaggine, che consiste nell’interrare un tralcio di vite per ottenere la moltiplicazione per propagazione della pianta, recidendo il ramo dalla pianta madre una volta che ha sviluppato le sue radici; è caratterizzato da un insieme di piante clonali eterogenee tra loro e vigorose dal punto di vista produttivo e vegetativo, che presentano una foglia grande, prevalentemente pentagonale, mentre il grappolo è grande e allungato, di forma conica. Gli acini hanno una caratteristica forma oblunga e sono di colore blu chiaro. Il vitigno ha anche una maturazione tardiva e la vendemmia viene fatta, solitamente, tra la seconda e la terza settimana di ottobre.

Il Nerello Mascalese vinificato in purezza ha un colore rosso rubino, tendente al granato. Al palato è secco, armonico e persistente. Quando viene vinificato in assenza di vinacce è conosciuto come “Pesta in Botte”, ed ha un colore rosso carico, con un gusto pieno, caldo e asciutto. La gradazione alcolica è elevata, tra i 13 e i 14 gradi. In quello coltivato nei terreni vulcanici è possibile percepire una mineralità decisa.

Si serve a una temperatura tra i 17 e i 18 gradi ed è ottimo sia come vino da aperitivo, per accompagnare salumi e formaggi stagionati, sia per primi piatti conditi con sughi di carne, che per i secondi a base di carne rossa.

Il Nerello Mascalese è uno dei vini più importanti prodotti in Sicilia ma anche uno dei più complessi da gestire: i vitigni sono assoggettati a un’elevata variabilità che li possono compromettere, dalla natura sabbiosa del terreno vulcanico che crea uno stress idrico dovuto alle abbondanti piogge del periodo antecedente l’estate, alla calura estiva che crea, al contrario, stress da siccità. Per questo motivo i viticultori lavorano costantemente ad un programma di valorizzazione e selezione clonale che permette ai vitigni di essere sempre più resistenti.

Il Nerello Mascalese, così come altri vitigni nobili, resta un vitigno con una sensibilità notevole all’annata e al territorio di provenienza. È una delle coltivazioni autoctone più antiche in Sicilia e anche una delle più difficili, soprattutto per quelle realizzate sull’Etna. Il risultato, però, val bene lo sforzo produttivo: l’eleganza del vino, il suo sapore autentico e la sua qualità lo rendono unico e apprezzato in tutto il mondo.  

Comments are closed.