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La leggenda dell’eroe greco, che riuscì a scappare dal ciclope grazie alla sua astuzia, fa nascere il mito dei faraglioni di Aci Trezza

Oggi vi narrerò la storia dell’astuto Ulisse che, durante il suo lungo viaggio in nave di ritorno dalla Guerra di Troia, perse la rotta per Itaca e si fermò in tanti luoghi, ognuno dei quali nascondeva un’avventura. Molte di queste si svolsero in Sicilia e una, fra tutte, è divenuta famosa: quella del suo incontro con il Ciclope Polifemo, figlio del dio del mare Poseidone.

Giunto sull’Isola dei Ciclopi, vicino al vulcano Etna, Ulisse, che oltre ad essere furbo era anche molto curioso, volle esplorare la zona per vedere da vicino questi leggendari giganti con un occhio solo. Scese dalla sua nave con dodici uomini coraggiosi e trovò una gigantesca grotta piena di enormi formaggi. I compagni lo supplicarono di rubare il cibo e scappare ma lui volle invece aspettare il ciclope, che aveva portato le sue pecore a pascolare fuori dalla grotta, per vedere se gli avesse donato lui il cibo per ospitalità. Fu un grave errore perché Polifemo, tornato nella grotta, spostò un masso davanti all’apertura, chiudendo l’uscita. Quando Ulisse si rivelò chiedendogli ospitalità, il ciclope iniziò a mangiare i suoi uomini due alla volta.

Non potendolo uccidere (chi avrebbe spostato il masso altrimenti…), Ulisse escogitò un piano. Gli offrì del vino e il ciclope lo ringraziò, dicendogli che per dono lo avrebbe mangiato per ultimo e gli chiese il suo nome. Ulisse gli rispose con la celebre frase: “Ciclope, domandi il mio nome glorioso? Ma certo, lo dirò; e tu dammi il dono ospitale come hai promesso. Nessuno ho nome: Nessuno mi chiamano madre e padre e tutti quanti i compagni”. Stordito dal vino, Polifemo cadde poi in un sonno profondo. Con i sei uomini rimasti, Ulisse prese un enorme tronco di legno, bruciò la punta nel fuoco che Polifemo teneva acceso dentro la grotta e trafisse l’unico occhio del ciclope rendendolo cieco.

Le sue urla di dolore attirarono gli altri ciclopi. Giunti davanti la grotta gli chiesero chi gli stesse facendo del male e Polifemo gli rispose: “Nessuno”! Credendolo ubriaco, i ciclopi andarono via.

Polifemo dovette aprire poi l’entrata della grotta per far uscire le pecore. Ulisse e i suoi si attaccarono sotto gli animali in modo che il ciclope, che toccava sopra tutto ciò che passava dall’ingresso, non si accorgesse della loro fuga. Una volta capito che i greci erano riusciti a scappare, Polifemo iniziò a lanciare enormi massi in direzione del mare, nella speranza di riuscire a colpire la loro nave. Ulisse però, una volta al sicuro, commise un altro errore, rivelando al ciclope il suo vero nome: “Se qualcuno ti chiederà chi ti ha accecato, rispondi che non fu Nessuno ma Ulisse di Itaca”.  Scoperto il vero nome, Polifemo prego suo padre Poseidone di non farlo mai più tornare in patria: “Ascolta Poseidone se è vero che io sono tuo figlio e tu sei mio padre concedimi che Ulisse, figlio di Laerte, distruttore di città, non torni mai in patria, ma se è destino per lui tornare a casa e rivedere i suoi cari, che arrivi tardi e malamente, dopo aver perso tutti i suoi compagni e trovi nella sua casa dei guai”.

Dal racconto, che è contenuto nel IX libro dell’Odissea, nasce il mito dei faraglioni di Aci Trezza, le enormi rocce che emergono dal mare davanti al piccolo e caratteristico paese in provincia di Catania, frazione di Aci Castello, un borgo di pescatori reso celebre non solo dall’Odissea di Omero ma anche dal romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga. Le rocce sarebbero, infatti, proprio quelle scagliate da Polifemo per colpire Ulisse e i suoi compagni in fuga. I faraglioni sono oggi un’attrazione turistica e, insieme al castello normanno di Aci Castello, sono i simboli di questi bellissimi paesi della provincia catanese.

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